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4 un nuovo poeta romanesco.

scriveva i sonetti politici, era tutt’altro che clericale.

L’elezione che il Belli fece del sonetto e della forma dialogica per attuare il suo vasto disegno, non fu di certo fatta a caso. Scelse il sonetto, perchè esso è il più adatto per allogarvi piccole scene, potendo anche allungarsi con la comoda coda, se la scena si allunghi. Scelse la forma dialogica, perchè la richiedeva il soggetto stesso. Il Romano, come tutti i meridionali, non cerca il pensiero nella solitudine e nel silenzio, ma nella compagnia e nella conversazione; e se non può parlar co’ suoi simili, parla col cane, col gatto, con l’asino, col canarino, col tempo cattivo, co’ santi, con la Madonna. Anzichè studiarsi di recare nella parola prodotti della riflessione, egli si studia piuttosto di far nascere la riflessione dall’uso della parola.1


  1. Cfr. Schuchardt, G. G. Belli und die römische Satire (Beilage zur Allgemeinen Zeitung. Anno 1871, dal n. 164 al 167).
        A proposito dello Schuchardt e di questo suo scritto, poichè qui me ne càpita l’occasione, voglio dire alcune cose che non sono prive d’interesse.
        Nel maggio del 69, mentre io stavo preparando per il Barbèra i Duecento Sonetti del Belli, lo Schuchardt me ne mandò da Gotha dieci, quasi tutti politici, non pubblicati nella mia prima edizioncella fatta dal Corradetti, e tutti forniti di preziose varianti da lui raccolte con diligenza tedesca, e con cognizione così perfetta del romanesco, che anche molti Romani gli potrebbero invidiare. Di quelle varianti io mi giovai molto; poichè per i sonetti politici, esclusi naturalmente dall’edizione romana, mi mancavano gli autografi, i quali dal Belli