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     E, passando, uno sguardo a me rivolto,
un guardo in cui imparasti a disprezzarmi,
90alla strage corresti audace e stolto.
     E di piú, non contento d’insultarmi,
volesti ancor che fosse in me converso
tuo braccio invitto e spaventoso in armi.
     De’ miei guerrieri il forte stuol disperso,
95sciogliesti i schiavi, e fe’ la Fama alata
nota la mia vergogna all’universo.
     Armida, a un giusto sdegno abbandonata
contro un fiero nemico, era lontana
di preveder che saria un giorno stata
     sotto il giogo d’amor piú teco umana,
che in un superbo cor tu resa avresti
l’ira nascente e la vendetta vana.
     Quando dal patrio lido il piè volgesti
ai siri campi, e il pallido timore
105e la temuta morte ivi spargesti,
     e l’alito del tuo nero furore,
d’ogni piú fiera crudeltá capace,
d’egual furor m’avvelenava il cuore;
     potuto avrei pensar ch’il pertinace
110odio scordato avrei di sdegno insano,
l’amore acceso alla nemica face?
     E pur, crudel, quando l’irata mano
a lavar nel tuo sangue micidiale
pronta era il disonor dell’Ottomano,
     115e a vendicar l’ingiuria mia fatale,
e di Solima; allor che a te vibrato
sospendere dovea colpo ferale
     i nostri danni; nel mio cor, straziato
da vendetta, pietá, desire e gloria,
120nacque il fuoco onde ancora è divorato.
     Se l’osi ancor, richiama alla memoria
quel dí che al fragil mio furor fu scoglio,
quel vergognoso dí di tua vittoria.
     Se l’infido tuo core e se ’l tuo orgoglio
125sdegna pensarvi, per turbar tua pace,
col rammentarlo a te, punirti io voglio: