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le nostre preghiere fino appiè dell’Altissimo. E non fu il digiuno, che salvò più volte dal vicino eccidio l’Ebreo popolo, che diè Samuele alla madre, che allontanò da Acabbo la vendetta celeste, che inalzò esaudito e consolato il pianto di Ninive? Ah! veneriamo adunque la virtù prodigiosa del digiuno. Esso è un tesoro che ci lasciarono i primi padri. Rispettiamone la sua canizie. Nacque col genere umano, tutta l’antichità l’ebbe sempre in pregio, i Patriarchi e i Profeti ce lo trasmisero, Gesù Cristo lo consacrò col suo esempio, lo santificarono gli Apostoli, i Santi tutti lo praticarono mai sempre; perchè il digiuno è l’esca dell’anima, la radice della grazia, il vincitore delle tentazioni, il terror del demonio, il fondamento della castità, e quello (come canta ogni dì nel tempo quaresimale la Chiesa Santa) che comprime i vizi, che solleva la mente, che dispensa e forza e vittoria e corona.

Senonchè, mentre io sto celebrando la necessità e l’eccellenza del digiuno, vi ha forse chi si va creando ostacoli, e formando sistemi per calmare la coscienza, ed eludere il precetto; perchè per distruggere la sana teologia tutti facilmente diventan teologi.

E prima di tutto, siamo in dovere di conservare il nostro individuo, si va dicendo. Sì, vel concedo, risponde anche il filosofo morale. Siamo tutori del nostro corpo il so, e dobbiamo conservarci la vita; ma non siamo qui posti a vivere solo per ingollarci cibi e bevande, e stare al governo del nostro corpo quasi ministri di un infermo. Ci furono forse dati gli spiriti vitali, chiede il Grisostomo, non per esercitargli in opere degne di uomini, ma per consumarli solo troppo indegnamente nello smaltire e dividere il confuso caos de’ cibi onde ci empiamo? Siamo nati insomma perché il nostro Dio sia il nostro ventre, come dei Cretesi con santa indegnazione diceva S. Paolo? Ah! osserva, o uomo, sclama S. Ambrogio, la mirabile struttura del tuo corpo, ed abbi sentimenti degni della tua