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[883-907] libro i. 37

Che ne sia proibita anco l’arena?
Che guerra ne si muova, e ne si vieti
885Di star ne l’orlo de la terra a pena?
Ah! se de l’armi e de le genti umane
Nulla vi cale, a Dio mirate almeno,
Che dal ciel vede, e riconosce i meriti
E i demeriti altrui. Capo e re nostro
890Era pur dianzi Enea, di cui più giusto,
Più pio, più pro’ ne l’armi, più sagace
Guerrier non fu già mai. Se questi è vivo,
Se spira, se il destin non ce l’invidia,
Quanto ne speriam noi, tanto potresti
895Tu non pentirti a provocarlo in prima
A cortesia. Ne la Sicilia ancora
Avem terre, avem' armi, avemo Aceste
Che n’è signore, ed è de’ nostri anch’egli.
Quel che vi domandiamo è spiaggia, è selva,
900È vitto da munir, da risarcire
I vòti e stanchi e sconquassati legni,
Per poter lieti (ritrovando il duce
E gli altri nostri, o se pur mai n’è dato
Veder l’Italia) ne l’Italia addurne;
905Ma se nostra salute in tutto è spenta,
Se te nostro signor, nostro buon padre,
Di Libia ha ’l mare, e più speranza alcuna


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