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16 l’eneide. [358-382]

Da l’alta spera sua mirando in giuso
La terra e ’l mar di questo basso globo;
360Mentre di lito in lito, e d’uno in altro
Scerne i popoli tutti, al cielo in cima
Fermossi, e ne la Libia il guardo affisse.
Venere, allor ch’a le terrene cose
Lo vide intento, dolcemente afflitta
365Il volto, e molle i begli occhi lucenti,
Gli si fece davanti, e così disse:
     Padre, che de’ mortali e de’ celesti
Siedi eterno monarca, e folgorando
Empi di téma e di spavento il mondo,
370E quale ha contra te fallo sì grave
Commesso Enea mio figlio, o i suoi Troiani,
Che dopo tanti affanni e tante stragi,
C’han di lor fatto il ferro, il fuoco e il mare,
Non trovin pace, nè pietà, nè loco
375Pur che gli accetti? In cotal guisa omai
Del mondo son, non che d’Italia, esclusi.
Io mi credea, signor (quel che promesso
N’era da te), che tornasse anco un giorno
(Quando che fosse) il generoso germe
380Di Dárdano a produr que’ glorïosi
Eroi, quei duci invitti, quei Romani
De l’universo domatori e donni:


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