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Frattanto non è da tralasciare il dire che talora i disordini delle monete producono, secondo le circostanze de’ tempi, cosi funesti emergenti, che sembrano poco meno che incredibili. E fu ben lagrimevole quello che scrisse Carlo Molineo, nel suo Trattato de’ commerci, che segui l’anno 1537 in Brettagna di Francia, ove nacque, a causa d’alzamento di monete e di poco opportuna proibizione d’alcune di esse, nelle quali consisteva l’aver della plebe, che per questa sola cagione, avanti che si rimediasse a’ disordini, vi morirono di fame piú di 10.000 poveri. E molte volte sono seguite funeste guerre fra’ principi per questa sola cagione, come quella di Pietro re d’Aragona contro il re di Maiorica, di cui fa menzione nel suo trattato De republica il Bodino. Cosi Cedreno racconta, che fu di gravissimo danno a’ greci l’editto di Niceforo Foca imperadore, che volle che le monete col suo impronto valessero piú che quelle de’ suoi predecessori, con tutto che in nulla le avantaggiassero, siasi nella bontá o nel peso. E Procopio cesareense, nella storia della vita di Giustiniano imperadore, biasima anco in ciò quelr imperadore (al suo dire, scelleratissimo), perché, oltre tant’altre tirannie, cangiò valore alle monete in danno de’ sudditi (’). «Sed mittendum minime arbitrar — dice egli, — ut ex terunciis hi principes erjiscarint — parla d’ambedue i consorti Giustiniano e Teodora, perché sopra ha in piú luoghi mostrato che l’imperio era piú da Teodora che da Giustiniano stesso governato. — Olim nummutarii singulos stateres aureo s decem ac ducentis obolis, quos ’ pholes" vocant, exactorihtis pendebant: principes, quod sibi /ore compendio vident, centum et octoginta commutari decernunt, scilicet parte sexta cuiuslibet aurei numismatis subditis omnibus decocta». Pare non sia senza qualche difficoltá questo passo di Procopio, ove dall’aver Giustiniano ridotto gli stateri d’oro a 180 oboli, che prima si cambiavano per 210, sembra aver egli deteriorato in questo modo a’ sudditi ogni moneta d’oro una sesta parte. Né mi darebbe fastidio che 30 oboli siano la settima non la sesta parte di 210, perché almeno sono la sesta

(l) Procopio, Hisloria arcana, p. iii [ediz. Lugduni Batavorutu, 1623].