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parte seconda - capitolo iI 183

senza esservi portati, come si è detto, gli osta la medesima ragione; e, a rispetto del resarcimento del danno, è una pazzia cambiare il certo con l’incerto, e al guadagno incerto del cambio vi si ha da contraporre il danno certo del remettere; né mai ará il guadagno, cambiando per altra parte e ricambiando per Napoli, come avria estraendo la moneta, essendo vera la sua ragione. E l’istessa ragione declara non esser vero l’altro assunto, che l’altezza del cambio fa uscire denari dal Regno in contanti per ritornarli per cambio, per guadagnarvi in men d’un mese diece per cento: perché, come si è detto, bisogna che vi siano portati prima in contanti, mentre si ha da pagare il cambio, e questa estrazione saria causa di aver fatto o far venire maggior contanti in Regno. Dell’altra conclusione, che l’altezza predetta faccia uscire in contanti e non in cambio li denari per le mercanzie che vengono da fuora in Regno, se ne parlerá appresso. Sí che per le ragioni predette si conclude non esser vera la sua conclusione maggiore, che l’altezza del cambio sia causa della penuria della moneta in Regno, ancorché fusse vera l’altra conclusione, che per lo guadagno di detta altezza ognun cambiasse e non portasse di contanti in Regno per le robbe che se ne hanno da estraere, mentre o prima di necessitá vi erano venuti o vi han da venire. E, si bene si potriano portare piú repliche e risposte, quanto si è detto è soverchio. E si è detto tanto, per esser stato accettato uno errore per veritá chiara; e, per togliere questa impressione dall’intelletto, piú d’una ragione è stata necessaria.

CAPITOLO II

Se, essendo vera l’esperienza che dice, séquiti conclusione vera, che il cambio basso faccia abbondare e l’alto impoverire.

Il secondo fondamento di detta sua maggior conclusione è la esperienza, che egli dice, che quindici, venti e trent’anni adietro, che il cambio era basso, il Regno abbondava di moneta propria e forastiera; e da diece o quindeci anni in qua, che il