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Giammai pensiero salì più accetto nelle sfere dell’infinito di quello di Galileo nel tempio di Pisa, quando il lento oscillare della lampada, pur mostratosi le migliaia di volte a tanti distratti fedeli, fu per lui il baleno di luce con cui “l’infinita sapienza, il sommo amore„ lo trasse alle meravigliose scoperte, che resero attonito il mondo intero, e furono base incrollabile d’ogni umano progresso.
E giammai il genio fu maggiormente torturato di quanto non lo fosse in Galileo stesso; costretto dalla perfidia degli uomini, dalle vessazioni dei Gesuiti, dal risentimento di un Papa a ritrattare verità, che luminose gli irradiavano nella mente, e svelavano agli uomini il mirabile assetto dei mondi, le cause ed il succedersi dei fenomeni.
Il forte pennello del Barabino, troppo presto all’arte rapito, che fa rabbrividire con papa Bonifazio VIII e fremere col Cristoforo Colombo al consiglio di Salamanca, fa pensare davanti al Galileo in Arcetri. — Tu vedi il nobile vegliardo, quasi a sedere sul letto, spento lo sguardo in-