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— Spero che siano notizie buone — sussurrai a Maria — domani me lo direte.

Ma l’indomani e molti altri giorni la mia curiosità doveva rimanere insoddisfatta, poichè l’astuta fantesca mi sfuggiva.

Finalmente giunse un’altra lettera, e nel consegnarla guardai la giovane con tenero rimprovero.

— Erano buone nuove quelle che vi portai l’altra volta? — osai chiederle.

— No — rispose — eppure.... era una lettera di un colonnello il quale annunciava alla mia padrona che un soldato austriaco morendo all’ospedale avea consegnato alla suora un orologio, delle carte ed un ritratto di donna che egli avea trovati in una giubba insanguinata sul campo di battaglia. Le carte portavano bensì il nome di Grisi, ma egli l’avea serbate insieme all’orologio di gran valore.

— E dunque fu ucciso quel povero giovane? E l’infelice sua sposa come sopportò la tremenda notizia?

Essa rimase come impietrita per alcuni istanti, poi volgendosi a me disse sommessamente:

— È morto, Dio non m’ascoltò! Il mio tesoro, il mio Alessandro è morto!

E cadde svenuta fra le mie braccia.

— E non diceva altro quella lettera? — chiesi colla voce strozzata.

— No, solamente il colonnello diceva che sarebbe venuto lui stesso a portarle quegli oggetti e le faceva tante proteste di devozione, rispetto, e così via, roba inutile affatto.

E dal suo gesto compresi che la ragazza intendeva farsi capire da me.

Ammalai e passarono due mesi prima ch’io la rivedessi: il primo giorno che riassunsi il servizio c’era una lettera per la signora Grisi: quando la fantesca m’apri, il suo volto espresse chiaramente una delusione.

— Ah, benissimo — pensai — il vento soffia di là! — Ma dissi solamente: — E come sta la vostra padrona?

— Benissimo — rispose arrossendo — perfettamente bene.