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II.

L’indomani mattina Giovanna fu la prima a svegliarsi: dal vetro infisso nella porta penetrava un roseo barlume d’aurora, e nel silenzio mattutino si udivano garrir le rondini.

Appena svegliata, la giovine provò un senso di dolcezza, ma tosto le parve che un rombo di tuono fortissimo l’avvolgesse. Ricordava.

Quel giorno doveva decidersi il destino del suo sposo. Ella aveva la certezza della condanna di Costantino, ma si ostinava a sperare ancora. Che egli fosse o no colpevole ella non pensava affatto, e forse non aveva pensato mai: solo la conseguenza del fatto, la separazione forse eterna da quell’uomo giovine, dalle forme svelte e forti come quelle d’un veltro, dalle mani liscie e le labbra ardenti, la martoriava. E nel ricordare sentì tanta angoscia che balzò incoscientemente dal letto e cominciò a vestirsi, dicendo con voce anelante:

— È tardi, è tardi, è tardi...

Zia Bachisia aprì i suoi piccoli occhi di lucciola, ed anch’essa si alzò; ma sapeva bene ciò che doveva accadere quel giorno e il giorno dopo e un anno e due e dieci anni dopo, per non scalmanarsi. Si vestì,