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palpò i pantaloni, vicino al ginocchio, chiedendogli se rimaneva vestito così.

Dalla porta spalancata penetrava la luce dell’alba, ed il viso di Costantino appariva grigio e disfatto.

— Io rimarrò vestito così, sì, — disse, e rise ancora di quel cattivo riso. — Tanto dovrò andarmene fra poco.

— Tu dovrai andartene? Oh, e dove?

— Io ho conosciuto tanta gente, — cominciò Costantino, come recitando una lezione. — Eh, c’è della gente che mi aiuterà. Cosa volete che faccia qui?

— Ebbene, tu farai il calzolaio. Non mi hai scritto che volevi far ciò?

— Io conosco un maresciallo chiamato Burrai (per Costantino il re di picche era sempre un maresciallo). Egli ora vive a Roma e mi ha scritto. Egli mi farà dare un posto da calzolaio nella casa del re.

Zio Isidoro lo guardò con occhi pietosi. Ah, il disgraziato era un altro, era un altro!

— Perchè parla così, perchè dice sciocchezze, mentre abbiamo tante cose sanguinanti di cui parlare? — si domandò zio Isidoro.

Ma gli parve che Costantino fingesse, che si avvolgesse in un velo di falsa indifferenza. Ma perchè? Se non si apriva con lui, con chi si sarebbe aperto?

— Ecco, parliamo d’altro ora; parleremo poi di ciò, — disse. — Ma davvero, perchè non vuoi un po’ di caffè? Ti farà bene.

— Di che volete parlare, dunque? — rispose l’altro con la sua voce monotona. — Io lo sapevo, che vi sareste meravigliato se non piangevo. Ho