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Ella ricordò il sogno avuto, e non rispose. Così giunsero all’altra parte del paese, cioè vicino alla casetta di Isidoro Pane. Uno spettacolo di dolcezza indescrivibile copriva la terra: la luna s’affacciava come un grande volto d’oro sull’oriente d’un celeste argenteo; e la terra nera, gli alberi bagnati, le casette di schisto, le macchie e tutta la pianura selvaggia, fino alle ultime linee dell’orizzonte, brillavano come animate da un sorriso pieno di lagrime.

I due giovani passarono rasente alla casetta del pescatore, e udirono la voce di Isidoro che cantava. Brontu si fermò.

— Andiamo, — disse Giovanna, tirandolo per il braccio.

— E aspetta! Anzi voglio battere a quella che sarebbe la sua porta.

— No! — ella disse, fremendo. — Andiamo, andiamo. Andiamo o ti lascio solo...

— Ah, è vero, tu ti sei bisticciata con lui. Ma io no. Io batto alla sua porta.

— Ed io me ne vado.

— Egli canta le laudi di San Costantino, quelle che gli diede il Santo in riva al fiume... ah, ah, eh! — disse Brontu raggiungendola. — È matto quel vecchio.

Ella sapeva chi aveva composto quelle laudi, e si sentì triste e irritata. Brontu la riprese sotto braccio, e ricominciò a raccontare frottole ed a scherzare: era di buon umore, ma doveva rider da solo perchè Giovanna taceva costantemente.

Qualche persona che li vide passare, udendo gli