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lagrime. Ora non ne ho più; ora io penso che egli non tornerà mai più, o tornerà quando saremo vecchi, e non posso piangere più. Che colpa ne ho io se non posso piangere più, pensando a lui? D’altronde penso che io sono una creatura di carne e d’ossa, come tutte le altre, che sono povera, soggetta alle tentazioni ed al peccato. E per sfuggire le une e l’altro prendo il posto che Dio mi assegna. Sì, zia Porredda mia, io penso all’eternità, ed è per salvarmi l’anima che io faccio ciò che faccio... No, io non sono cattiva; il mio cuore non è cattivo.

Quasi quasi pensava che il suo cuore era buono e generoso, o almeno, se precisamente non pensava così nella profondità sincera della coscienza — in quella profondità che non mentisce mai — e dalla quale sgorgava quel senso di tristezza che la avvolgeva, — lo pensava con la mente calcolatrice. Così, confortata, si addormentò.

Ora l’alba nitida batteva ai vetri della camera ospitale le grandi ali diafane, fredde e pure come il ghiaccio, e Giovanna pensò al sole e si rallegrò.

Anche la vecchia si svegliò e guardò subito i vetri.

— Ah, farà una bella giornata! — disse soddisfatta.

Si alzarono. Zia Porredda era già in cucina; cortese e premurosa servì il caffè alle ospiti, e le aiutò a sellare e caricare il cavallo. Pareva non ricordasse affatto il discorso della sera prima, ma appena le due donne furono uscite, fece in aria un piccolo