Pagina:Dopo il divorzio.djvu/145


— 139 —


avara, ma bisogna che tu le faccia capire che i denari sono fatti per essere spesi. Ecco, una cucina così! È un paradiso, anima mia; questa è la vita!

— Perchè dite sempre anima mia? — chiese la serva sciocca.

— Se ella non vorrà spendere, padrona! — disse Giovanna. — I denari son suoi. — E sospirò.

La serva rise ancora, ma zia Porredda, che non voleva immischiarsi nei discorsi delle ospiti, si volse severa e le impose energicamente di grattare il formaggio pei maccheroni. La serva obbedì.

— Che hai? — chiese zia Bachisia alla figlia, che sospirava.

— Ah, ella ricorda! Non è possibile che ella non ricordi. Dopo tutto è una cristiana, non è un animale! — pensava zia Porredda.

Giovanna disse rabbiosa:

— Ebbene, ecco, ci hanno imbrogliato. La tela non è buona, il panno è macchiato. Ah, quella macchia!

— Anima mia! — esclamò la serva, imitando la voce di zia Bachisia. E grattava, grattava il formaggio.

Zia Porredda sfogò sopra la ragazzaccia tutta la sua ira, tutto l’orrore che le ospiti le destavano: le diede i nomi che avrebbe voluto dare a Giovanna, la chiamò svergognata, vile, miserabile, ingrata, e minacciava di percuoterla con la mestola. Per la paura la servetta si grattò un dito e scosse in alto la mano sanguinante. In quel momento rientrò zoppicando lievemente il giovine avvocato, avvolto in