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— Io l’ho già fatto.

— Ah, tu l’hai già fatto!

Dopo di che i due condannati tacevano e ricordavano.

E passò aprile, maggio, giugno: i desolati muri del carcere tornarono a infocarsi, gli insetti immondi e tormentosi si svegliarono ricominciando l’opera crudele di tortura sopra i condannati; odori nauseabondi ricominciarono a infettare l’aria, e nella camerata dei calzolai, sempre vigilata dal guardiano taciturno e rosso, il cuojo, la pece ed il sudore esalarono un puzzo acuto.

Costantino, sempre più anemico, cominciò a patire assai per le punture degli insetti: gli altri anni dormiva profondamente e non si accorgeva delle punture, ora invece aveva il sonno leggiero e certe trafitture lo svegliavano di soprassalto, dandogli un brivido per tutta la persona: allora cominciava l’insonnia, o un dormiveglia peggiore dell’insonnia, che talvolta assumeva i caratteri dell’incubo. Punture acute, e non sempre di insetti, gli trafiggevano tutta la persona; egli si voltava e rivoltava, soffocava, gemeva. Era una cosa orribile. Spesso la luce aranciata dell’aurora giungeva prima ch’egli avesse potuto chiuder occhio; allora veniva colto da un grande spossamento, da un sonno invincibile, e doveva alzarsi!

Giovanna non gli scriveva più: soltanto, agli ultimi di maggio, aveva scritto pregandolo di non mandarle più denari, poichè guadagnava abbastanza per vivere discretamente. Poi più nulla.