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cereo e i capelli rasi così bianchi che sembravano incipriati, — quello ha davvero bisogno di confessarsi. Egli batte alle porte dell’eternità.

Infatti poco dopo lo studente fu messo nell’infermeria e morì agli ultimi di marzo. Il Bellini, quello dell’amante tisica, s’informava ansiosamente dello stato dell’infermo, e quando lo studente morì, pianse puerilmente tutta la giornata. E piangeva non per il povero morto, ma per l’amante malata. Poi si confortò, e non vedendo più lo studente e non udendo più parlare di lui, pensò meno alla malattia della donna amata. La morte dello studente mise nell’anima del re di picche una strana melanconia. Egli cominciò a filosofare sulla vita, sulla morte, e intavolò lunghe discussioni col Delegato, nelle quali quest’ultimo rispondeva a voce bassa, stralunando gli occhi. Con Costantino, poi il Burrai s’abbandonava ai ricordi nostalgici della patria lontana.

— Sì, — diceva, — una volta io passai vicino al tuo paese, o nei dintorni, non so. C’era un bosco di soveri, di cisti e di corbezzoli; su questi pareva fosse piovuto del sangue. E un odore, caro mio, un odore così forte che pareva di tabacco. Bada, c’è una croce sopra una pietra; si vede il mare lontano.

— Ah, ecco, è la foresta di Cherbomine1. Ah, se la conosco! Una volta un cacciatore vide là dentro un cervo con le corna d’oro. Sparò, l’ammazzò. Nel morire, il cervo mise un grido umano e disse: La penitenza è finita. — Si crede avesse in corpo un’a-

  1. Cervouomo