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i marmi - parte terza 61


Pedone. Non so s’io ti debbo metter nel numero degli stoici, che tu apròvi solo la virtú e che non ti discosti dall’onesto, o pur d’Epicuro che lodava lo stato della vita quieta e viversene fra i piaceri dilettevoli, o veramente ti fo academico, che tu abbi una certa opinione nel capo che tutte le cose sieno incerte; perché una gran parte di costoro, che fanno fantocci di terra, si sogliono lambiccare spesso spesso il cervello nelle cose alte, come può essere, come è stato e come fia.

Giomo. Odila grossa!

Santi. Io non credo se non quello che io debbo credere e vi dico, per tirar gli orecchi alla vostra dottrina, che alla mia salute non apartiene di essere o stuoia o tappeto: academici cristiani sono quegli che io desidero d’udire e non epicurei. Che mi fa egli che Eccuba fusse da manco che Elena o se Achille aveva tanti anni quanti Patroclo? Io per me ebbi sempre poca voglia d’imparare su le sètte fatte dagli uomini; e se pur leggo le loro fazioni, guardo in quello che fallasse Ulisse e considero bene in qual cosa egli errò, solamente per guardarmi di non errare.

Giomo. E’ favella come un santo.

Santi. Io mi rido talvolta, quando leggo certi libri, che le brigate s’affoltano a scrivere le tempeste che Ulisse ebbe in mare e vogliono che tu le vegga. Vedete che umore è il mio, che io credo che a scriver le tempeste e a provarle vi sia una gran differenza; e chi l’ha lette e poi le prova, dice che lo scritto non insegna sí bene a mille miglia. «Il fuoco cuoce», trovo scritto: s’io non lo tócco, mai vi saprò dire che cosa sia fuoco; ma quando mi sentirò quell’incendio, allora non lo saprò insegnare ancóra, perché colui non saprá mai, a chi l’insegnerò, che cosa è fuoco, se non è tócco alquanto da esso.

Pedone. Che vorresti voi sapere o che avresti caro che vi fosse insegnato?

Santi. Io vi dirò, la mia cosa fia difficilissima. Io mi sento in un giorno fare di molti assalti: prima, la tempesta dell’animo malcondizionato è una mala cosa; la spinta che mi