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ragionamento sesto 89


Ciano. Per la fede mia, che questi ricordi gli vo’ scrivere in bottega, acciò che tutto il mondo gli impari che vi capita; ché buon per la nostra cittá, se ciascuno pensasse qualche volta a’ casi suoi!

Pandolfino. Sí, perché sarebbe forza che si conoscessino di donde e’ vengano, quel che fanno in questo mondo e che fine ha da essere il loro; perché, avendo a lègger sul suo libro, potrebbe scontrare le partite degli altri; e se volesse dire: «Il tale è ignorante; e io — direbbe egli — che so? Colui è figliolo d’un plebeo; e io perché voglio alzarmi e ingrandirmi, che son da manco, volendo abbassar lui?» «Quello tiene una femina, e tu, che sei nimico delle donne, che di’?» — direbbe l’altra partita. Sí che Seneca gli dava mirabili amaestramenti. Il terzo fu che ciascuno doverebbe avere una stanza nella quale mai alcuno vi entrasse dentro, salvo che lui, come fa il gran padrone della scultura, e in quella avere i suoi libri, scritti e altre cose a suo modo: quella fosse il suo secretario, il ripostilio de’ suoi pensieri; e vagliar bene bene le faccende che debbe fare e risolversi dieci volte lá dentro, inanzi che fuori se ne risolvesse una.

Ciano. Santi amaestramenti, veramente; ma dove tirate voi la cosa?

Pandolfino. Se tu avessi avuti questi ricordi inanzi, non saresti caduto nell’errore che caduto sei, di fidarti di dire i tuoi secreti, d’allevarti la serpe in seno, come si dice, di favorire furfanti, dappochi, ignoranti; non aresti gettato via il pane che dato gli hai e speso il tempo alla mal’ora dietro a un infame svergognato, vituperoso e scellerato, come tu di’; perché sarebbe stato forza, avendo riserratoti in te stesso, in luogo secreto, ed esaminato le tue faccende, che tu non avessi conosciuto in pochi giorni i ribaldi, nimici di Dio e de’ buoni costumi.

Lorenzo. Quegli antichi eran pure i mirabili uomini! Vedete che bei modi da insegnare vivere alle persone! Ci son ben molti che sanno, ma non hanno poi modi d’amaestrare.