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ragionamento sesto 97


onde i nobili sanno che cosa è eloquenza, e i plebei, ho speranza, per tanti nostri scritti e lezioni che odono nell’academie, che lasceranno star di dir «mana» e «rene».

Pandolfino. Voi mi parete alle mani con questi scrittori; non vedete voi che voi favellate al vento? Qua non c’è se non fiorentini.

Lorenzo. Non è mai stato giá nessuno tanto ardito che egli abbi avuto animo di dire, nel titolo del suo libro, ancóra che sia toscano (e ci sono stati toscani scrittori eccellenti), dico, di dire «in lingua sanese», «in lingua pisana» o «in lingua lucchese», per non dire «da Prato» o «da Fiesole»; e i nostri corron pur questa preminenza di dire «in lingua fiorentina».

Ciano. Io ho sonno e non voglio piú ragioni, perché mi pare che tutti abachiate: favelli uno il peggio che sa, basta che sia inteso a’ suoi bisogni. Io ho pur letto una lettera del Boccaccio in lingua napolitana: se s’ha da scrivere in ogni cosa come il Boccaccio, si debbe ancóra scrivere qualche cosa in napolitano.

Lorenzo. Non entriamo in su le baie. Io vo’ lègger questa lettera che io ho tradotta di quel libro composto da Teoclea, la quale, come io v’ho detto, la scrive Pittagora a lei come sorella per la ricevuta di quel libro.

Pandolfino. Or leggete, via; e poi ce ne andremo.

Lorenzo. «Il libro che tu mi mandasti Della fortuna e infortunio io l’ho tutto letto da un capo all’altro. Ora conosco veramente, cara sorella, che tu non sei manco grave nel comporre che graziosa nell’insegnare; la qual grazia, data dal cielo a noi di terra, viene poche volte in noi uomini l’una e l’altra, talmente che l’è maraviglia, quando accade; in te adunque è maravigliosa. Aristippo fu piú profondo nello scrivere che nel parlare; Amenide nel parlar fu mirabilissimo, piú assai che nello scrivere; ma a te ogni cosa viene felicemente. Veramente le sentenze che tu poni paion di tutti i filosofi insieme e par che tu abbi veduto e letto tutte le cose passate; onde tu passi i termini di donna. Il natural di tal sesso è occupar la vista nel presente e scordarsi il passato e poco curarsi dell’avenire: io odo che tu vuoi scrivere, e che giá ti eserciti, la guerra della nostra patria; e in veritá non posso dire in questo caso altrimenti se non che tu hai preso una