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94 | i marmi - parte prima |
la gli mandò un suo libro composto Della fortuna buona e cattiva; e credo che ’l Petrarca lo vedesse anch’egli.
Ciano. Costoro che compongono oggi, credo che molti di loro mettino le mani ora su questa cosa e ora su quest’altra de’ passati nostri antichi.
Lorenzo. Tu ce ne vedi assai de’ libri nuovi: non vedi tu che ciascuno rappezza, riforma o, per dir meglio, il piú delle volte spezza e rovina? Vedi pure come sta il povero Centonovelle; e se non fosse che egli n’è uno, scritto al tempo di Giovan Boccaccio per mano d’un cittadino della casata de’ Mannelli, copiato dall’originale dell’autore e dall’autore letto e acconcio di suo mano, in guardaroba del nostro illustrissimo duca, la cosa andrebbe male; perché di qui a pochi anni, per volerci dar di naso certi savi della villa tutto dí1, lo ridurrebbono in lingua italiana.
Ciano. Come, in lingua taliana? in che lingua è egli? tedesca?
Lorenzo. Anzi fiorentina.
Ciano. O perché dite voi che lo ridurrebbono, eccetera?
Lorenzo. Farebbonlo parlare, vo’ dir io, una parola orvietana, una pugliese, l’altra calavrese.
Ciano. Perché non dir bergamasca, lombarda, romagnuola e piamontese?
Lorenzo. Per non esser ancóra tanto inanzi.
Pandolfino. L’è gran cosa questa de’ forestieri, a volere acconciare l’opere d’altri, dico volere parere d’acconciarle, per mostrar di sapere, con postille greche, latine e azzuffare di dieci sorte testi, e sapere eleggere (darsi ad intendere) la migliore dizione, conoscere il piú bel numero e sentire il suono migliore di tanta varietá! Noi altri ci stiamo a man giunte e gli lasciamo fare senza ripararci.
Lorenzo. Chi diavol riparerebbe a cento sorte di stampature? Ché un correttore corregge in un modo e quell’altro a un altro, chi lieva, chi pone, certi scorticano e certi altri intaccano la pelle.