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capitolo iii. 37

scrupolosi, e non istessero ad appuntare qualche macchiuzza nel chiarissimo sole di quell’opera della quale mormorano: che se aliquando bonus dormitat Homerus, pongano mente al molto tempo in cui stette desto l’autore per dare la sua fatica alla luce colle minori macchie che avesse potuto: e forse potrebbe anche esser che quello che ad alcuni suona male, fosse alcuna ombra aggiunta per accrescer il bello, come que’ nèi che talvolta rendono più gustosa la vaghezza di un viso. Tengo dunque per fermo che molto avventura chi espone uno scritto alla critica del mondo, essendo impossibile comporlo tale da render soddisfatti e contenti quelli tutti che lo leggeranno. — Il libro che tratta della mia persona, disse don Chisciotte, pochi avrà per certo appagato. — Anzi al contrario, lo interruppe Carrasco; chè siccome stultorum infinitus est numerus, così infiniti sono quelli che l’hanno assaporato. Non è mancato però chi ascrisse a difetto di memoria dell’autore l’essersi dimenticato di far sapere chi fosse il ladro che rubò il leardo a Sancio; perocchè ci racconta che l’asino fu rubato, e poi di lì a poco vediamo che Sancio lo vien cavalcando senza che se ne sappia il come1. Lo accusano similmente di avere omesso di dar conto dell’uso fatto da Sancio di quei cento scudi che trovò nel valigiotto in Sierra Morena, i quali scudi non sono più rammentati; mentre molti bramerebbero sapere che cosa Sancio ne fece o come li consumò: e questo dicono ch’è uno dei principali difetti dell’opera„. Sancio rispose: — Io, signor Sansone, non mi sento voglia d’investigar o di rifare conti... oh Dio! mi coglie in questo punto uno svenimento da cui se non posso ripararmi con un po’ di buon vino vecchio corro a rischio di ammalarmi o di crepare: oh vi so dire che ne ho un barile a casa di perfetto ai vostri comandi, ed intanto penso di andarvi, chè la mia cara moglie mi aspetta: quando mi sarò ristorato lo stomaco tornerò qua e darò a vossignoria e a tutto il mondo quegli schiarimenti che più vorranno così rispetto alla perdita del giumento come all’impiego dei cento scudi„.

Senz’aspettare altra risposta od aggiunger parola, se n’andò Sancio a casa di filo. Don Chisciotte pregò vivamente il baccelliere che stesse a far penitenza seco, e il baccelliere accettò l’invito e restò. Si aggiunse al pranzo consueto un paio di piccioni, e a tavola si ragionò di cose toccanti la cavalleria. Carrasco secondò l’umore di don Chisciotte. Finito il desinare dormirono un pochetto; Sancio intanto tornò, e fu ripigliato l’interrotto ragionamento.


  1. Il ladro fu Gines di Passamonte. La dimenticanza in cui cadde il Cervantes risguarda il fatto e non l’autore di esso: si dimenticò di aver detto che a Sancio era stato rubalo l’asino. Vedi P. I. cap. XXXIII.