Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xxxv | 333 |
sassi; che aiùtati che io ti aiuterò; che più vale un prendi che un ti do; e il mio signor padrone, che dovrebbe lisciarmi la coda e incoraggirmi perchè mi facessi di lana o di bambagia scardassata, aggiunge ancora egli che se mi piglia, mi lega nudo ad un albero e mi raddoppia la pietanza delle frustate! Dovrebbero considerare questi sconsolati signori che non solamente ora dimandano che si frusti uno scudiere ma un governatore, e che questo non è mica bere un bicchiere di vino di viscole. Imparino, imparino in loro malora a saper pregare, a saper domandare, e ad avere creanza; chè tutti i momenti non sono uguali, nè gli uomini si trovano sempre di buon umore. Io sono qua coll’anima tutta amareggiata per vedere in brani il mio vestito verde, e vengono a dimandarmi che mi frusti di quella piena volontà che non ho e non avrò mai! — In verità, amico Sancio, disse il duca, che se non v’intenerirete più che fico maturo, non arriverete mai a mettere le mani sulle redini di un governo. Sarebbe egli, giusto che io mandassi ai miei isolani un governatore di animo crudele, di viscere pietrine che non si commuove al pianto delle sconsolate donzelle, nè ai prieghi dei discreti, imperiosi ed antichi incantatori e savii? In sostanza, mio Sancio, o dovete frustarvi o dovete lasciarvi frustare; senza di ciò non diventerete mai governatore. — Signor mio, ripigliò Sancio, non mi si potrebbero dare due giorni di termine per pensar al mio meglio? — No, in verun modo, disse Merlino: questo è affare che va deciso subito, in questo istante e in questo luogo medesimo: o Dulcinea tornerà alla grotta di Montèsino, ed al suo pristino stato di villana, oppure sarà portata nella forma nella quale ora sta ai Campi Elisi, ed ivi starà attendendo che compiasi l’intera flagellazione. — Or via, Sancio buono, disse la duchessa, buon animo e buona corrispondenza al pane che vi ha dato a mangiare il vostro signor don Chisciotte, cui noi tutti dobbiamo servire e piacere per le eccellenti sue qualità, e per le sue esimie cavallerie: pronunziate il sì, figliuol mio, di questa frustatura: si sperda il diavolo e muoia la viltà, chè forte cuore, come voi bene sapete, scaccia la mala ventura„.
Dopo queste insinuazioni Sancio si rivolse a Merlino, e così lo interrogò: — Mi dica la signoria vostra, signor don Merlino, quando è venuto qua il diavolo corriere, e fece al mio padrone l’imbasciata del signor Montèsino, ordinandogli da parte sua che lo attendesse in questo sito, disse che sarebbe venuto egli stesso ad ordinar quanto occorreva per disincantare la signora Dulcinea del Toboso, ma sino ad ora non si è veduto nè Montèsino, nè niente che lo somigli. Merlino gli rispose: — Il diavolo, amico Sancio, è un ignorantone ed un grandissimo forbo. L’ho mandato io stesso in traccia del vostro