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capitolo xxx 283

niun cavaliere errante ebbe al mondo scudiere nè più cicalone, nè più grazioso del mio, e la celsitudine sua ne dovrà con me convenire se si degnerà di servirsi per qualche giorno della mia opera„. Rispose la duchessa: — Fo grandissimo conto che il buon Sancio sia grazioso, ciò essendo prova che sarà anche discreto; mentre le grazie ed il brio, come ben sa vossignoria, signor don Chisciotte, non hanno il loro seggio nei rozzi ingegni: e se questo buon Sancio è grazioso e galante, mi confermo ch’egli sarà pur pieno di moderazione. — E di ciarle, aggiunse don Chisciotte. — Tanto meglio, replicò il duca, mentre molte graziose cose non si possono dire con poche parole: ma perchè non consumiamo adesso soverchiamente il tempo, venga con noi il gran cavaliere dalla Trista Figura.... — Dai Leoni, ha da dire vostra Altezza, disse Sancio, chè non c’è più Trista Figura„. Soggiunse il duca: — Venga dunque, e ben venga il signor cavaliere dai Leoni a un mio castello ch’è qui appresso, dove sì alta persona riceverà ogni accoglimento che le è dovuto per giustizia, e quali soglionsi praticare a tutti gli erranti cavalieri che ci visitano„. Aveva già Sancio poco prima cinta e assettata a dovere la sella a Ronzinante, e montandovi don Chisciotte, e salito il duca sopra uno snello destriere, misero la duchessa in mezzo, ed al castello si avviarono. Ordinò la duchessa a Sancio che le andasse accanto, piacendole sommamente di sentire le sue curiose sentenze. Sancio non si fece pregare, e postosi fra loro entrò per quarto nella conversazione, con grande diletto della duchessa e del duca che riputarono a somma ventura di ricettare nel loro castello un tale errante cavaliere ed un tale errato scudiere.