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capitolo xxix 273

e misure delle quali si compone la sfera celeste e terrestre. Se tu sapessi tutte o parte di siffatte cose, vedresti chiaramente quanti paralleli abbiamo tagliati, quanti segni veduti, e quante cose lasciate indietro, ovvero andiamo ora lasciando; e torno a dirti che tu ti tasti e ti cerchi addosso, quantunque io voglia credere che sarai più pulito e più mondo di un foglio di carta liscia e bianca„. Sancio si palpò, e portando pian piano la mano verso il polpaccio della gamba sinistra, alzò il capo, guardò il suo padrone, e disse: — O la sperienza è falsa o noi non siamo arrivati dove dice vossignoria. — Ebbene, tornò a dimandare don Chisciotte, hai tu pigliato qualche niente? — Qualche piccola cosa che si move ho trovato, rispose Sancio„. E scuotendosi le dita si lavò tutta la mano nel fiume per lo quale sdrucciolava placidamente la barca nel bel mezzo della corsia, non mossa da veruna segreta intelligenza o da qualche celato incantatore, ma dal corso stesso dell’acqua piacevole allora e tranquilla. Scoprirono in questo due gran mulini in mezzo al fiume, e don Chisciotte appena li ebbe veduti che ad alta voce disse a Sancio: — Guarda di là, amico Sancio, che scopresi la città, castello, o fortezza dove sarà senza dubbio rinchiuso qualche oppresso cavaliere, o qualche regina, o infanta o principessa infelice, al cui soccorso io sono stato in questa parte condotto. — Che diavolo di città, fortezza o castello va dicendo vossignoria? disse Sancio. Non conosce che quelli sono mulini posti in mezzo al fiume per macinare il grano? — Taci, Sancio, replicò don Chisciotte, chè sebbene paiano mulini non lo sono altrimenti, e ti ho già narrato le tante volte che

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