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diga al Giglioli, dal Savastano al Bizzozero; non c’è economista agrario dagli umili fino al Valenti; non c’è neanche in questa Camera alcun componente della grande Commissione di inchiesta sui contadini del Mezzogiorno, dall’onorevole Pozzi al Raineri, dal Nitti al Giusso — che si fosse apposto nel vero quando ha proclamato, ha insegnato, ha detto all’Italia; voi non dovete essere un popolo a coltura di grano superiore a quella che attualmente coltivate in ordine alla superficie.

La superficie d’Italia giunge al 16 e mezzo coltivata a frumento, mentre l’unica nazione che si avvicina a noi, la Francia, raggiunge il 12 percento, ed è la nazione che ha già quasi risoluto il problema del grano, poi giù giù si viene all’Inghilterra e all’Irlanda col 2 per cento, alla Germania, all’Austria col 4 percento, agli Stati Uniti d’America col 7 percento ed alla Russia che perviene appena al 7 percento.

Ora se così è, se l’Italia ha raggiunto il massimo della cultura a grano e gli scienziati, gli uomini avveduti della politica e gli economisti agrari insegnano col dire: fermatevi, altrimenti la produzione sarà a costo crescente, sarà ancor più cara di quanto i mezzi di costo possano consentire, voi allora, sforzando la coltura, danneggereste l’Italia nostra. Quindi il problema si deve porre in un’altra maniera: può l’Italia, data la coltura attuale, sulla base cioè della superficie già coltivata a frumento, può intensificare la produzione per produrre di più? Ecco il problema sul quale noi dob-