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tentativi abortiranno quasi prima del nascere, e gli stranieri e i nostri avversarii udendoci molto gridare e poco fare, potranno ripeterci il vecchio motto: aliud in pectore, aliud in ore. I signori librai ed editori si persuadano che non si formerà mai in Italia una vera letteratura popolare, e non saranno mai in gran quantità ricercati i loro libri, per quanto buoni essi siano e popolari si appellino, finchè non attecchiranno le Biblioteche popolari e non s’invoglierà col mezzo di esse il popolo a leggere. Ci aiutino adunque in quest’opera: noi volentieri faremo scelta ne’ cataloghi che ci verranno inviati, e ci obblighiamo altresì al rimborso delle spese d’affrancazione di que’ volumi che loro piacerà di offrire in dono a sì benefica istituzione.»

Con buona venia di que’ generosi che si accinsero a questa bella opera, noi siamo forzati di dir loro: Miei ottimi signori, avete sbagliato la via, voi vi affaticate inutilmente; i vostri sforzi non producono alcun effetto, anche ammassando migliaia e migliaia di libri, i quali saranno un inutile ingombro e cagione forse di spese assai superiori a quelle che sono necessarie a dar vita ad una vera Biblioteca popolare. Tali sono le spese delle stanze e degli scaffali in cui conservarli, della legatura allorchè logori, della necessaria custodia perchè non sieno derubati. E tutto questo forse per null’altro che per una vana ambizione di poter dire: la nostra Biblioteca conta tanti mila volumi.

Che se poi tu domandi quanti di questi volumi si leggano in capo all’anno, e quali, tu vedrai limitarsi molto il loro numero; e questo dovrebbe essere criterio per la formazione delle Biblioteche circolanti: pochi ma buoni, ma utili davvero e tali da aguzzar l’appetito ai lettori.

Per la Biblioteca di Prato si lascia al caso la scelta dei libri. Dal caso non si possono aspettare effetti sicuri e