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DELLE DONNE 85

una donna empia e irreligiosa, fa venire in odio la stessa filosofia1. E quanto alle funzioni pubbliche delle donne egli afferma non potersi troppo leggermente condannare l'opinione che quelle funzioni, implicando la possibilità di un voto delle mogli, opposto a quello dei mariti, sovvertirebbero l'ordine della natura, distoglierebbero le donne dalle funzioni domestiche, metterebbero in pericolo il loro pudore, favorirebbero la confusione dei sessi, la comunione degli amori, l'abolizione della famiglia, e quindi l'assolutismo dello Stato2. Ineccepibili finalmente sono gli anatemi del Proudhon contro la così detta emancipazione del sesso femminile, che egli dice procedere o da pervertimento d'intelletto, o da libertinaggio3. Ogniqualvolta, egli aggiunge, la donna esce dalla cerchia assegnatale dalla natura, si deprava, avvilisce d’altrettanto l'uomo, di guisa che lungi dall'usurparne le funzioni, essa non dovrebbe da niuna cosa più rifuggire, che dallo assomigliargli4.

Conciliare insieme tante contraddizioni egli è certamente impossibile. Come mai p. es. può essere oggetto di culto un essere in cui prevale la bestialità e la lascivia, e che si vuol governare col timore? E come un essere siffatto può rappresentare l'ideale, la temperanza, la generosità? Il Proudhon aveva principalmente la passione della polemica, e sotto l'impero di questa passione egli ha detto sempre più del bisogno e più del verosimile; le esagerazioni provocate in lui dalle false dottrine degli emancipatori, fanno riscontro alle assurdità dei suoi primi scritti sulla proprietà, provocate pure dalle insufficienti dottrine degli scrittori del diritto naturale. Ma egli era in pari tempo ingegno profondo, ed animo onesto, epperò quando rientrava in calma, egli ritornava sui propri passi, rialzava ciò che aveva calpestato, riconosceva ciò che aveva

  1. Ib., p. 253.
  2. Ib., p. 59.
  3. Ib., p. 74, 75.
  4. Ib., p. 84.