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382 | lo astrologo |
Pandolfo. Perché mi hai tu sentenziato contro in favor d’altri!
Vignarolo. Tacete voi ora: quando io fui giudice o consegnerò che vi avesse dato sentenza contro in favor di altri?
Pandolfo. Taci or tu: «che Artemisia fosse sposata con mio figliuolo, e Sulpizia con Lelio».
Vignarolo. Volete voi che io parli o non parli?
Pandolfo. Vo’ che parli tanto che crepi!
Vignarolo. Però tacete voi.
Pandolfo. Ma taci tu, lassa parlare a me. Tu mi promettesti di entrare in casa di Guglielmo e darmi Artemisia per sposa, e poi la desti ad Eugenio. Tu ne hai fatta una a me, io un’altra a te: siamo patti pagati e cassate le partite.
Vignarolo. Se non tacete voi non ci accordaremo mai.
Pandolfo. Parla con il tuo malanno!
Vignarolo. Ed io vi rispondo che mai fui trasformato in Guglielmo dall’astrologo; e quello con il quale avete parlato è il vero Guglielmo, oggi tornato di Barbarla.
Pandolfo. Oimè, che dici?
Vignarolo. Quanto è passato.
Pandolfo. Dunque, non fosti tu che mi desti la sentenza?
Vignarolo. Non ho detto che mai fui piú di quello che sono ora?
Pandolfo. Se cosí è perdonami, vignarolo mio!
Vignarolo. Cacasangue! dopo avermi pistato due ore, dici: — Perdonami! — Il vostro perdono non mi entra in corpo: è un toglier il dolore?
Pandolfo. Se non vuoi perdonare tu a me, perdonarò io a te.
Vignarolo. Il vostro perdono non lo voglio, perché non lo merito.
Pandolfo. Perdonami a me, ché lo merito io. Ma dove sono gli argenti e i drappi che ti ha consegnato l’astrologo?
Vignarolo. Che argenti, che drappi?
Pandolfo. Or questo sarebbe un altro diavolo!
Vignarolo. Quando disse che voleva trasformarmi, mi bendò gli occhi; e quando mi tolse la benda, trovai la camera sgombrata.