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280 gli duoi fratelli rivali

perché schivano di mirarti. Sgombra da questa terra, purga l’aria e il cielo infetto dal tuo abominevole spirito, porta fuora del mondo anima cosí scelerata e traditrice, e come hai saputo machinar tante fraudi, cosí machina un modo da fuggir dal mondo. Tu non morrai dalle mie mani: lascio che la tua vita sia la tua vendetta, vo’ che sopravivi al tuo biasmevole e infame atto, vo’ che venghi in odio a te stesso. Ma qual spirito dell’inferno ti spinse a tanta sceleraggine?

Don Flaminio. Le fiamme de’ suoi begli occhi, ch’accesero te dell’amore suo, accesero ancor me; e come la desiavate voi, la desiava pur io; e quel tradimento che v’ho fatto per possederla, m’imaginava che voi l’aveste fatto a me. Ma il caso, che maneggia tutte le cose, ha fatto succedere il tutto contro il mio pensiero. Ramentati quella infinita bellezza, e secondo quella giudica l’error mio. Qua ha peccato la sorte non la voluntá; e quando l’effetto che succede è contrario alla voluntá, purga il biasmo di chi il commette.

Don Ignazio. O falsa defension di vera accusa! Te accesero fiamme amorose de’ suoi begli occhi? Tesifone tenne l’esca, Aletto il focile, Megera percosse la pietra e ne scagliò fuori faville tartaree accese nel piú basso baratro dell’inferno. O notte, che fosti tanto cieca che non scernesti l’inganno, t’ingrossasti di folte tenebre, ti copristi di scuro manto per occultar fatto sí abominevole: vergognandoti di te stessa ti nascondesti in te medesima! Te nascondesti nella tua notte, o luna, che con disugual splendore facevi incerto lume: la nefanditá ti fe’ nascondere la tua faccia, perché ti turbò e ti spense il lume! O cielo, gira al contrario e conturba le stagioni; e il sole non dia splendore a questo secolo infame, poiché un fratello non è sicuro dall’insidie dell’altro fratello! Non so che nome potrá aguagliar l’opre tue, sí inumano, barbaro, traditore senza vergogna e senza timor di Dio: il mondo non ha nome con che possa chiamarti.

Don Flaminio. Supplice e lacrimoso ti sta dinanzi a’ piedi la cagion del tuo affanno: non chiede né perdono né vita, perché non la merita e non l’accetta — ché quando l’uomo ha