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190 la cintia

sono, ci s’era ingannato, non è gran cosa che mi fusse ingannato ancor io. V’ho offesa non volendo, anzi voi stessa m’avete dato cagione che vi offendesse. In tanta allegrezza è di ragion che mi perdoniate.

Cintia. Dulone mio, io non sol ti perdono, ma ti ho caro piú di prima per duo cagioni: l’una perché sei fidele al tuo padrone, l’altra perché la fortuna s’ha voluto servir di te per istrumento della mia felicitá. Tu hai proposto e Dio ha disposto: la sorte ha combattuto per me contro il padre, la madre e nemici; e quelli che han cercato di farmi danno, quelli mi han fatto piú utile. Erasto mio, mi sento un caldo che mi scorre per tutta la persona, e certi movimenti per il corpo, non so se da soverchia allegrezza o dal passato dolore.

Erasto. Apri la porta, Dulone. Entrate in vostra casa, vita mia.

SCENA VI.

Pedofilo, Sinesio.

Pedofilo. Sto con animo assai dubioso e pieno di malinconia, ché Amasio, mio figliuolo, m’ha detto che ha usato violenza a Lidia e toltole l’onore; e dubitando di non venire ad alcun atto disconvenevole col fratello, è risoluto averla per moglie o di morire: e non so se sia vero o se lo dica perché consenta a’ suoi desidèri.

Sinesio. Eccomi, vi ha tolta la fatica di averlo a cercare.

Pedofilo. Sinesio caro, arei voglia di dirvi ben cinquanta parole.

Sinesio. Saria ben vi rispondessi non poterne ascoltar una sola se ben avessi cinquanta orecchie, perché ier mi diceste con due orecchie non poter ascoltarne a me meza.

Pedofilo. So che piú volte m’avete chiesta Amasia per isposa di vostro figliuolo; e perché me la chiedevate con grande istanza, stimo che avevate prima giudicato tra voi e me non esservi molta disaguaglianza di nobiltade o di ricchezza.

Sinesio. Cosí ho sempre stimato certo.