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atto terzo | 157 |
Capitano. Ti sei rinserrato e inchiavato, timido coniglio! hai paura di me, ah? Perché tanta bravura quando sei solo, e come ti vedi incontro me, t’incaverni e te imbuchi come un granchio? Io furfante bestione? menti per la gola: ecco son qui per mantenertelo.
Erasto. Capitano, se verrò fuori, sará mal per te; vattene con tutti i tuoi diavoli!
Capitano. Vien fuori, vien fuori dalla tua tana! romperò l’uscio a tuo malgrado e con una schieggia di quello ti darò mille legnate.
Erasto. Ah, traditor villano, questo a me? dove sei, dove ti sei appiattato, codardaccio? deh, se ti ritrovo, farò che il piú grosso pezzo di te sia l’orecchia!
Dulone. Entrate, padrone, ché questi sono suoi modi: egli è sparito via che non lo trovarebbe il demonio. Vi fará cosí tutta la notte: lascialo in sua malora!
Capitano. Giá è riserrato. Tic, toc.
Erasto. Chi è lá?
Capitano. Cosa d’importanza.
Erasto. Chi sei che batti?
Capitano. Un vostro amico, e vorrei dir una parola ad Erasto di cose importanti: che di grazia si facci su la fenestra.
Erasto. Chi sei, olá? chi domandi?
Capitano. Son quello che tu men desii che sia, son il gran capitano, il quale è qui comparso a disfidarti: che cali giú ché ti vo’ rompere la schena di bastonate e trattarti come meriti.
Erasto. Va’ va’, ché ci conosciamo insieme; domani ci rivederemo.
Capitano. Ti disfido: cala giú, non dir poi che non sia venuto a disfidarti in casa tua.
Erasto. Hai ragione, tu sei il vincitore; non mi dar piú travaglio.
Capitano. Ecco t’ho fatto conoscere chi sia io: bisogna in somma mostrar valore. Ecco ricuperato il mio onore: o vincere o morire!