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atto terzo 149


Capitano. Se sei Cintio, non vo’ nulla da te: che occasion mi desti di adirarmi mai teco?

Amasio. Desiavi le compagnie di tedeschi, di sguizzeri, di genti d’arme per azzuffarti con loro; or temi di me solo.

Capitano. Tu non sei compagnie né di svizzeri né di tedeschi. Vien qui con un essercito e ti porrò in vero quanto n’ho detto.

Amasio. Fatti innanzi, ti dico.

Capitano. Staria ben fresco l’onor mio, che dopo aver combattuto cinquanta volte in steccato e debellato i superbi capi del mondo, voglia far questioni con un figliolaccio.

Amasio. Eccoti il fígliolaccio!

Capitano. Questa è bastonata, in malora! le conosco per prattica.

Amasio. Eccone un’altra; ché la medicina per buona che sia, se non è continuata, non fa effetto. Io ti disfido.

Capitano. Va’ va’, poni la barba prima e poi mi disfida. Che onor mi sarebbe pormi con un par tuo?

Amasio. Perché non vuoi far questione meco?

Capitano. Per ragion di Stato.

Amasio. Dove fuggi?

Capitano. Io fuggo? ahi, ciel traverso, io seguo te! Oimè, che ho avuto a rompermi il collo!

Amasio. Codardaccio, ora ti pestarò!

Capitano. Oh che onore! ferir un caduto è cosa da gentiluomo?

Amasio. Alzati, ché non vo’ offenderti mentre giaci.

Capitano. Se questo è, non m’alzerò mai. Renditi a me se non mi rendo io a te.

Amasio. Se ti partirai di qui tosto, farò teco la pace.

Capitano. M’hai ferito, non ci è l’onor mio! vo’ la sodisfazione.

Amasio. Se ti ho dato bastonate, fu per tua colpa, e son ben date e te l’hai meritate; ma se te ne ho dato piú del dovere, ne farò sodisfazione.

Dulone. (Tutto coperto di ferro e tutto armato, e pur teme! In somma, tutte l’armi del mondo non armarebbono la paura: