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78 la sorella

lasciarle. Ingannevoli volpi, che non desiate di noi se non la pelle. Sei forse ritornato per farmi alcuna nuova offesa?

Erotico. E che offesa vi feci mai, o mia generosa signora? E se pur vi sentite offesa da me, fate che lo sappia, ché la confessarò e mi sottoporrò ad ogni penitenza; e da quella sarete forzata confessare che non vi ho offeso.

Sulpizia. Dimmi, traditore, ch’offesa ti feci io mai, se non l’averti amato piú del dovere? quanto tempo son stata nemica di me stessa per amar te? ché ti diedi l’imperio d’ogni mia volontá e comprai il tuo amore a costo dell’onor mio. All’ultimo, per guiderdone, spenta la vergogna, la giustizia e l’onestá, tradesti l’amore, la sposa e la fede; e mi lasci beffeggiata, schernita e rifiutata.

Erotico. Io schernir voi? e quando fu altro desiderio in me, che di servirvi e onorarvi e spender la vita per l’onor vostro? se non come voi meritevole, almeno come le deboli forze mie. Ed è possibile — o amarissimo nodrimento della mia vita! — che da miei suspiri, e dalle lacrime ardenti che spargono gli occhi miei, non sia scaldato quell’agghiacciato gelo del vostro cuore, e non vi faccino piena fede della mia innocenza? E le tante esperienze fatte dell’amor mio non v’hanno giá fatta chiara quanto io v’ami? Qual iniquo destino ha turbata la serenitá de’ nostri cuori, quella suavitá, quella dolcezza di due anime congionte insieme, come son state si gran tempo le nostre? dove è quella fede che fu si sincera fra noi?

Sulpizia. Toltoti sia quel cuore fallace e disleale da quel petto, nido dove non si covano mai se non inganni e tradimenti; e quella lingua traditrice e bugiarda, la qual usi se non per ingannar coloro che si fidano in quelle tue parole. E come io sperava fede da un cuore, ove non ce ne fu mai?

Erotico. Io non posso altro rispondervi che, come signora e reina che mi sète, v’è lecito fare e dirmi ogni ingiuria che volete. Ma non son questi i frutti, che sperava dalla vostra gentilezza e dalla nobiltá dell’animo suo, che per ragion di mondo e per giustizia sète obligata di rendermi.

Sulpizia. Or che lo sdegno m’ha tolto quel velo dagli occhi, che cieca mi rendeva, e conosciuti i tuoi tradimenti, ti vo’ fare