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atto quarto | 75 |
pari, cosí solo e senza compagno vo’ andar tapinando; e non m’uccidete piú con l’aver pietá di me. Ahi, che mi voglio partire, e non posso, ché tutti i spiriti miei son occupati da un mortale dolore! Trinca, or che vai in sua casa, dille che il suo fratello va a morire, che pianga la mia morte, che non mi potrá avvenir cosa piú cara, che veder le mie essequie onorate dalle sue lacrime.
Trinca. (Erotico caro, or che sta cosí addolorato, forsennato e inesorabile, tiriamolo in casa vostra, ché gli innamorati si assordano a’ consigli che li son dati; ch’io andrò in casa fra tanto).
Erotico. Attilio fratello, perdonami, si t’uso violenza in strascinarti in casa mia.
Attilio. Oimè, chi mi tira? dove sono? deh, perché, amico, non m’aiuti?
SCENA VII.
Pardo, Gulone.
Pardo. (E pur mi capita innanzi questo ghiottonaccio).
Gulone. (Ecco questo vecchio di Caronte, spavento di cimiteri: non posso fuggirlo). Signor Pardo, Idio vi dia il buon giorno.
Pardo. E a te dia Dio il malanno e la mala pasqua.
Gulone. Par che siate adirato meco.
Pardo. Toglimiti dinanzi, ché mi vien voglia farti cader da bocca cotesti tuoi denti.
Gulone. Poca offesa t’han fatto sempre i denti miei.
Pardo. Me l’ha fatta la tua lingua.
Gulone. La mia lingua v’ha sempre lodato.
Pardo. Le lodi ch’escono dalla lingua di un par tuo, son vergogne degli uomini da bene.
Gulone. La mia lingua mai offese alcuno.
Pardo. Hai la lingua doppia come quella delle serpi, che punge e avvelena; però sparisci via, assassin, furfante.