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atto quarto | 67 |
m’amavate prima, o che m’amiate a par di quello, che v’amo io: che mi fará subito dismenticare de’ disaggi della passata servitude.
Pardo. Moglie, mi sento venire meno per l’allegrezza.
Constanza. Ed io non posso tener le lacrime.
Pardo. Vo’ che abbiate un’altra allegrezza, che veggiate Cleria vostra figlia.
Constanza. O Dio, che sommamente desio vederla.
Pardo. Attilio, va’ su e fa’ calar la tua sorella.
Attilio. Vado.
Pardo. Come sète venuta cosí sola.
Constanza. Lungo tempo bisogna, consorte mio, a narrar sí lunga istoria della servitú sofferta fra quei cani, de’ lunghissimi travagli del viaggio, che non son stati minori.
Pardo. Ecco la tua figlia Cleria. Oh come, nel vedersi l’un l’altra, son tramortite ambedue! Oh, quanto è l’amor grande tra la madre e i figli! O Dio, che sará questo? o Cleria, o Cleria, o Constanza mia, risvegliatevi!
SCENA IV.
Cleria, Constanza, Pardo, Trinca.
Cleria. O cara madre, o madre!
Constanza. O figlia, o figlia!
Pardo. Mira, figlio, che affezione, che non puon saziarsi d’abbracciarsi e di stringersi. Mira che lacrime mescolate di dolore e di dolcezza. Orsú, non piú abbracciare e piangere; e non conturbate col pianto cosí desiderato contento.
Attilio. Padre, mira che non ponno parlare.
Constanza. Ed è pur vero, o figlia, che da poi sí lungo tempo ti riveggia?
Cleria. O madre, come insperatamente vi veggio!
Costanza. Mentre eri tu, figlia, meco, la servitú mi era leggiera e assai dolci i travagli, e per te mi smenticava di quella fortuna; ma, dopo che da me fosti separata, me si raddoppiane gli affanni e ogni piacere m’era dispiacevole e noioso.