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atto quarto | 63 |
Constanza. Gentiluomini, mi sapreste voi dir se Pardo Mastrillo fusse vivo?
Attilio. È vivo e in buona sanitade ancora.
Trinca. (Cosí fusse egli morto e sotterra!).
Constanza. Ed Attilio suo figliuolo?
Attilio. E Attilio parimente.
Constanza. Idio, per colmarmi d’ogni contentezza, m’ha voluto racconsolar con la vita di l’uno e di l’altro.
Attilio. Chi sète voi, che tanto vi rallegrate della lor vita?
Constanza. Son una donna che, quando Pardo e Attilio sapessero ch’io son viva e qui venuta, ne arebbono quella allegrezza che ne ho io.
Attilio. Ditelo, di grazia.
Constanza. A voi non appertiene saperlo.
Attilio. E forse me s’appertiene piú che ad altri, perché io son Attilio suo figliuolo.
Constanza. Ed io son Constanza tua madre, che or giunge da Constantinopoli, con assai piú desiderio di vedervi che della propria mia acquistata libertade.
Trinca. (Ecco l’altra perturbatrice d’ogni nostro bel disegno).
Attilio. (O Idio, che non si può nel mondo godere un bene, che non sia mischiato di alcun male: ecco, acquistando la madre, perdo il mio bene).
Trinca. (Avemo resistito al primo impeto della fortuna; or non si può piú, alla gran tempesta che ne ondeggia intorno).
Attilio. (O mal, come vieni presto! o ben, come vieni tardo!).
Trinca. (La sua venuta scompiglia quanto abbiam tessuto della nostra tela; e se l’altre se han potuto rimediare, a questa non ci ha rimedio alcuno).
Attilio. (Ho pregato Idio, che mi facesse veder mia madre, per non esser cosa, che piú desiderasse di vedere; or che la veggio, desidererei esser morto per non vederla, ché perdo Cleria, e io non vedrò mai piú cosa che mi piaccia). Voi dunque sète Constanza?
Constanza. Io son quella infelice donna che venti anni son stata schiava di genti barbare.