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28 la sorella


Trasimaco. Ma dimmi s’hai ragionato con Pardo.

Gulone. Sí, bene.

Trasimaco. L’hai detto che son un Rodomonte, un Alessandro Magno de’ nostri tempi? non rispondi, furfante?

Gulone. Non posso far ragionamenti, per la gola secca che ho.

Trasimaco. Tu a me menti per la gola? Mira a che pericolo ti poni.

Gulone. Dico che, per la gola secca che ho, non posso formar ragionamenti.

Trasimaco. In somma hai conchiuso le nozze?

Gulone. Se non bevo una voltarella e inumidisco il palato e la lingua e ristoro la virtú, vengo meno.

Trasimaco. Non puoi dir sí o no?

Gulone. Son cosí affamato, che vedrei la fame nell’aria: il ventre sta vòto e si bacia con la schena di maladetti baci. Ascolta come gorgoglia.

Trasimaco. Che sei di razza di cavalli, che, quando stai digiuno, il ventre gorgoglia? Odi.

Gulone. Non odo, ché le budelle fanno tanto rumore che m’impediscono l’udire.

Trasimaco. Non mi promettesti iersera darmi la risoluzione del matrimonio?

Gulone. È vero che l’ho promesso; ma, venendo a casa vostra, mi incontrò un amico, mi portò a casa sua, e mi diè a ber vini tanto grandi e fumosi, che m’empirono lo stomaco e il capo di fumi, che non vedeva la via per tornare, e fu bisogno dormir a casa sua.

Trasimaco. Affogaggine! Mancar della promessa non è ufficio d’infame?

Gulone. Veramente, sí; che, se non fussi stato in fame, non sarei andato a casa sua, ma sarei venuto alla vostra.

Trasimaco. Dico che non è ufficio d’uomo da bene.

Gulone. Io non fui mai uomo da bene, né ci voglio essere: se ci fussi, mi morrei di fame. Io son ladro, buggiardo, furfante e ruffiano, e cosí sguazzo il mondo.

Trasimaco. Cosí tratti gli amici?