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atto quarto 359


Cappio. Padrone, vorrei lasciaste cotesto prologo, e pensiamo allo scandolo che sia per avvenirne quando saprá il pedante che Altilia sia stata trafugata e toltole l’onor suo; e sapete che Antifilo, vostro contrario, non sta con le mani a cintola, ché una ne pensa l’oste e l’altra il pellegrino. L’aiuterá per la gelosia che lo rode.

Giacomino. Ma io con che occhio potrò mirar mio padre, quando egli mirando negli occhi miei vedrá scolpita la mia disobedienza e che della sua casa io n’abbi fatto taverna, fattolo aggirar per le strade dal servitore? che gastigo aguaglierá la mia forfantaria? Amor mi sollecita, il timor del padre mi spaventa e la ragion vuol ch’io l’ami. Cappio, non so che farmi, son rovinato del tutto.

Cappio. Non siamo rovinati mentre siam vivi e vogliamo aiutarci.

Giacomino. Io non so se son vivo o morto, né dove mi sia: son tanto attuffato nel mar delle delizie ch’io non so che mi faccia. Pensa tu, Cappio, che sei fuora di passione.

Cappio. Né io son libero di passione, ché sapendo il padrone ch’io son stato l’inventore ed essecutore del tutto, non lascierá crudeltá che non voglia esperimentar contro di me. Per ora non so pensar altro modo che condur Altilia al Cerriglio e pregar il tedesco che dica al pedante che, dall’ora che Altilia e la balia son state menate da lui nell’osteria, l’hanno aspettato tutta la notte e anco senza cibo e senza sonno; e che sappino ben fingere questa bugia.

Giacomino. A prieghi aggiongerò qualche scudo, ché dica quella bugia: ché se delle bugie se ne dicono le migliaia senza pagamento, quante se ne diranno per denari? I danari son l’unguento de tutti i mali. Io vo a chiamar le donne.

Cappio. Presto, ch’ogni tardanza ci potrebbe apportar danno. (Questi giovanetti doppo conseguito il lor desiderio non pensano piú allo scandolo che ne può succedere. Io temo che de loro piaceri io n’abbi a patir la pena).