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350 la tabernaria


Pedante. Perder le robbe non saria molto, ma perder la figlia! L’ira mi rode i precordi. Questa non è taberna, ma postribulo e lupanare.

Giacoco. La casa mia non è taverna chiú, ma centimmolo e panara; da cca a n’autro poco deventará no fiasco. O Celo, ca zeccafreca è chisto?

Pedante. Di cosí nefando atto vuo’ che ne resti memoria ne’ secoli futuri.

Giacoco. Chiappino, fa’ sta caretate, porta chisto all’osteria dello Cerriglio, perché averá scagnata la taverna. Guai e maccaruni se voleno mangiare caudi caudi; e se non se ne vuole ire, dálle quarche manomerza.

Cappio. Andiamo, ch’io vi condurrò al Cerriglio.

Lardone. (Io l’attaccarei al calendario; lui ha mangiato e bevuto, e a me toccará lavar le scudelle, succhiar il brodo e vôtar i fondi de’ fiaschi. Prego il Cielo che i maccheroni diventino strangulatori, e il vino foco. Ahi, ch’io pensavo burlar altri, e io resto burlato!).

Pedante. Non vidi hominem di maggior pasto né di minor fatica di te.

Cappio. Ecco il Cerriglio; battete e vi sará aperto.

Lardone. Tic, toc, tic.

SCENA VIII.

Tedesco, Pedante, Lardone.

Tedesco. Chi battere le porte delle nostre ostellerie?

Pedante. Tito Melio Strozzi gimnasiarca!

Tedesco. Non capire tante gente le nostre ostellerie.

Pedante. Sono solo e un famulo.

Tedesco. Se avere fame, ire in altra parte; qua avemo poche robbe.

Pedante. Aprite, dico, le ianue a Tito Melio Strozza gimnasiarca.

Tedesco. Mi non aprire le porte a Tutto Merda Stronze de patriarche.