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320 la tabernaria


Cappio. Ritorna in Salerno, fa’ consapevole Altilia e Lima del conserto, e dirai al pedante ch’hai avisato il tedesco del Cerriglio, il quale ha detto alloggiarlo benissimo. Come sará qui, fingeremo che Altilia non si senta bene, e ci tratterremo qualche giorno in casa nostra; e tu e Lima sarete sodisfatti d’ogni vostra opera. E per voi solo si prepara un forno sempre pieno di pasticci in caldo.

Lardone. Ma la bocca del forno d’Altilia andrá in rovina. Con questo mi sconterò il mal pagato salario, i digiuni, le vigilie e le quarantine che mi fa far tutto l’anno in casa sua.

Cappio. Sappi usar bene la tua forfantaria.

Lardone. Non bisogna avisarmelo, ché questa fu arte di mia madre, ava e bisavola e di tutto il mio legnaggio. Va’ presto e compra robba a bastanza, ch’io torno a dietro e condurrò la vacca in stalla; farò restare alcune robbe a dietro, acciò, mentre il maestro torna, il toro abbia agio di godersela.

Cappio. Via presto, ch’io avvisarò il padrone, e apparecchiaremo la taberna.

Lardone. Avèrti che se non mi si attende quanto mi si promette, scoprirò ogni cosa e porrò sottosopra il mondo.

Antifilo. (Tutto questo si tratta contro me. Andrò a Posilipo; farò gridar: «turchi! turchi!», di modo che Giacoco torni a casa e disturbi la macchina di Cappio; e non lasciarò modo di affligere Altilia e Giacomino, come eglino hanno me afflitto e sconsolato).

SCENA V.

Giacomino, Cappio.

Giacomino. Oimè, Cappio, che fai?

Cappio. Nulla.

Giacomino. Come nulla?

Cappio. Perché è fatto quasi ogni cosa.

Giacomino. Come questo? tu sei qui ancora.

Cappio. Giá pensavate ch’io fossi gionto a Salerno?