Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/301


atto quinto 291

SCENA IV.

Gerasto, Santina, Nepita.

Gerasto. Misero e infelice Gerasto, che meglio ti fossi posto ad arare che ad amare, che misera fortuna è questa che hai tu oggi incontrata?

Nepita. (Dice che s’allegra della buona fortuna che ave incontrata oggi).

Gerasto. Veramente tutte le sciagure corrono dietro la vecchiezza, come le mosche a’ cani magri. Ed il mio dispetto è l’allegrezza e la festa che ne fará mia moglie del fatto mio.

Nepita. (Dice che è in festa e allegrezza a dispetto di sua moglie).

Gerasto. Non tanta furia, ascoltate bene!

Santina. Non posso piú tenermi! Ahi, vecchio rimbambito brutto, disgraziato fantasma, non so chi mi tiene che non ti cavi gli occhi dalla testa con queste dita, e con i denti non ti tronchi il naso dalla faccia!

Nepita. (E tu savia, che mutasti opinione a non strappargli i fatti suoi!).

Gerasto. (Or questa sí, che è magior disgrazia della prima! Dovunque mi volgo, mi trovo aviluppato in nuovi guai).

Santina. Che dici adesso, bel fanciullino, innamorato galante, valente gallo che vuol calcar due galline, e hai un piede nella fossa e un altro nel cataletto, vecchio col capo tutto bianco?

Gerasto. O capo rosso o verde che sia, moglie, ti prego che m’ascolti, e vedrai che non t’ho offeso come stimi.

Santina. Tu, vecchio fradicio... .

Gerasto. So che vuoi dire: traditore, infame, manigoldo, e pur ancora. Hai ragione! Ascolta, ché d’oggi innanzi cessaranno le discordie fra noi mentre vivremo. Ascolta, moglie mia cara... .

Santina. Che mia? or son tua moglie cara; poco innanzi era strega, macra, puzzolente: tu non arai a far piú meco.