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atto quarto 161

consegnerá il pazzo, pensandosi consegnargli Melitea; e se li laveranno la faccia, troveranno altro che pensano: restará l’uno e l’altro schernito, anzi verranno insieme a cattive parole. Poi troveremo un capitano di birri e faremo tor Panfago, con dir che ha rubato le vesti del schiavo e del raguseo ad Alessandro; e andaremo in casa sua, dove si troveranno, perché ivi se l’ha spogliate; e noi serviremo per testimoni: ché se non sará appicato, almeno lo faremo andar in galea in vita e ci vendicheremo di lui. Poi informaremo Alessandro del tutto e lo mandaremo a Filigenio per lo schiavo: ei gridará e gli dirá ingiurie. Alessandro gli dirá che è figlio di un gran signore; e che non s’accordi, se non gli cava di mano almen trecento scudi. E li faremo costar tanto l’aver creduto al dottore; voi ve lo restituirete in vostra grazia, ed io schivarò un maligno influsso di bastonate che mi sarebbon piovute dal Cielo.

Pirino. O Forca mio dolce, o Forca mio di zucchero, Forca che dái la vita a’ morti e non la togli a’ vivi, ho preso animo e giá con la speranza abbraccio Melitea; ma non perdiam tempo, ché potria venir mio padre.

Forca. Andate in casa, lavate la faccia a Melitea, fatele spogliar le vesti, e scampate per la porta di dietro; ch’io fra tanto vi condurrò il pazzo.

Pirino. Cosí farò: toc, toc.

SCENA VI.

Melitea, Pirino, Forca, Muto.

Melitea. Che dimandate, padron mio caro?

Pirino. Il tesoro della bellezza, la monarchia delle grazie, la dolcissima mia padrona, accioché mi rallegri cosí il cuor con la sua presenza, come gli occhi con la sua bellezza.

Melitea. In questa casa per ora non ci abita persona di tanto momento; ma se cercate una schiava nera, venduta per vilissimo prezzo, vile, brutta e disgraziata, che non ha altro in sé di buono che amore e fede, l’avete dinanzi agli occhi.