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atto quarto 159


Pirino. (O Dio, che odo, che veggio! o che fusse nato sordo e cieco! ecco disperate le mie speranze).

Forca. (Ecco rovinata l’occasione di condur ad effetto cosí bell’opera).

Dottore. Io non vo’ che la cacci altrimente; rendiamela di buona voglia, ch’io gli rimborserò i suoi cento scudi.

Panfago. Se volete far questo, vo’ che allegramente...

Pirino (O diavolo...)

Panfago. ...vi porti a casa sua...

Pirino. (...porti te, e quanti sono de’ tuoi pari).

Panfago. ...e te la consegni per la mano. Cosí gli faremo conoscere che, se la volpe è maliziosa, piú malizioso è chi la prende: ché uno pensa la volpe e altro chi ordina la tagliola.

Dottore. M’hai tirato nel tuo parere e m’hai posto in nuova speranza di riaverla. Orsú, andiamo a casa di Filigenio.

Panfago. Io l’ho visto or ora a’ Banchi: andiam per costá, che l’incontraremo per fermo. E sará bene che né Pirino né Forca ci veggia insieme; ma, mentre che stanno addormentati in tanta allegrezza né curan piú d’altro, non s’accorgano che vogliamo rovinargli e possano preveder l’apparecchio.

Pirino. O fortuna, sei piena d’aggiramenti! sperava da te mia madregna qualche effetto di madre, ma m’accorgo ch’ancor sono ammogliato con la disgrazia, perché non fo un disegno, che la fortuna non ne faccia un altro in contrario.

Forca. Ma io, sciocco ignorante, come non avessi mai fatto altra truffa, ho avuto fede ad uno che ha mancato sempre di fede.

Pirino. O Forca, Dio tel perdoni! io te ne avisai prima, che costui ci avrebbe tradito, che era uomo che parlava con tutti e d’ogni cosa che li vien in bocca; non essendosi saputo da lui, non si sarebbe saputo altronde.

Forca. Voi foste piú presto a esseguire ch’io a dirlo, e non mi deste tempo a mutar proposito.

Pirino. E quel che piú mi molesta è che l’impresa cominciata e proseguita con tanta gloria, or ci partorisca contrario effetto; e ci assassinano con l’astuzie imparate da noi.