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152 la carbonaria


Dottore. Ogni tua parola m’è un serpe velenoso che mi morde, una tigre che mi straccia.

Panfago. ... Né gli bastava avervi beffeggiato, se alle beffe non s’aggiongevano l’ingiurie.

Dottore. Io mi sento l’anima in uno istesso tempo assalita da contrari affetti, combattuta da una turba de nemici, da sdegno, da malinconia, da vergogna e da gelosia. La malinconia mi rode, la vergogna mi confonde, l’ira m’arde nel core, la gelosia mi boglie nell’anima. Ho melancolia che ho perduta l’innamorata, ho gelosia che altri la goda, ho sdegno che non m’ami, ho vergogna d’esser beffato; e se son vecchio ho il cervello giovane, e se ho la debolezza del corpo ho la prontezza dello spirito.

Panfago. Se volete vendicarvi, bisogna prestezza e piú fare che dire, anzi il dire e il fare sia in un medesimo tempo: io vi aiuterò col consiglio e con l’esser a parte d’ogni fatica.

Dottore. Assaltiamgli all’improvviso; ché essendo Pirino temerario ed audace ne’ piaceri, sará timido nelle avversitá, che sempre sogliono essere temeritá e paura in un medesimo soggetto. Andiamo a Mangone prima, veggiamo se Melitea sia in casa e poi rimediaremo al tutto.

Panfago. Andiamo.

Dottore. E se troverò che sia vero quanto hai detto, prenderò tal vendetta di loro che li farò pentir mille volte d’avermi ingiuriato.

Panfago. Or do a desinare alla mia rabbia e da bere alla mia sete: la vendetta compenserá la noia dell’una e dell’altra.

Dottore. Ecco la casa, io batto.

Panfago. Io mi starò cosí chiuso nella cappa che costui non mi riconosca.

SCENA III.

Mangone, Dottore, Filace, Panfago.

Mangone. Padron caro, che furia è questa? Melitea sta a vostra posta; e se la volete cosí inferma come ella è, ve la darò or ora.