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4 la sorella

per li tuoi consigli; e meriteresti che ti spianasse le spalle, ché ancor tu ne patissi la parte del mio affanno.

Trinca. O gran miseria è l’esser servo d’innamorati, i quali non sanno star nel mezzo, ma sempre sugli eccessi. Quando si trovano nelle calamitá, ti vengono con certe furie adosso, che vogli aiutargli con l’opre o col consiglio, che non ti dan tempo a pensare. E l’uomo si pone a pericolo della forca, se si scuopre: e se per qualche bella invenzione il fatto succede bene, non si ricordano del consigliero e attendono a sollazzarsi; ma, quando si scuoprono gl’inganni e si veggono ne’ pericoli, ti vogliono spianar le spalle, come ministri de’ loro danni.

Attilio. Te l’ho detto come la sento.

Trinca. Ben sapete che il volersi sodisfare de illeciti amori e di poco onesti desidèri suol partorir mostri d’infamia e di disgrazie, perché non si conseguiscono se non con inganni e sceleratezze, le quali al fin vengono a scoprirsi, e l’uomo cade poi in travagli peggiori; ma a ciò m’indussero le vostre preghiere.

Attilio. Ancor che te ne pregava, non dovevi aiutarmi.

Trinca. Non dicevate cosí allora, che, se non conseguivate la vostra Cleria, volevate andar disperso per il mondo o ammazzarvi con le vostre mani, e mi stavate con le ginocchia in terra pregandomi; e or non vi ricordate, che con le mie astuzie vi ho posto a cavallo.

Attilio. Anzi su un asino per esser scopato per tutto il mondo.

Trinca. Pacienza.

Attilio. Orsú, che faremo per uscir di travaglio?

Trinca. I vostri travagli a voi s’appartengono. Con i vostri portamenti piú tosto mi sforzate a disservirvi che a servirvi.

Attilio. Rimedia con qualche medicina, tu che puoi.

Trinca. Non son medico, né fui mai a Padoa per istudiare.

Attilio. Col tardar, la malattia mi potrebbe uccidere.

Trinca. Pigliate silopi e medicine che vi purghino il corpo.

Attilio. Se tu non vuoi esser mio medico, sarò io tuo. Ti darò un recipe di venti pugna sul mustaccio e di trenta calci nelle reni.

Trinca. No, no.