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126 la carbonaria


Panfago. Che pericolo ci è?

Forca. Nullo; perché non ci è cosa dove tu possa giocar di mano, e come tu non puoi rubbare, non ci è pericolo.

Panfago. Perché fingere un raguseo?

Forca. Se d’ogni cosa ti vogliamo dire il perché, non finiremo tutto oggi.

Panfago. Se volete che serva bene, bisogna che sia ben informato.

Forca. T’informaremo meglio di una scarpa. Su, finiamola.

Panfago. Non ho ancor finito di essaminarti; che avete apparecchiato da desinare?

Forca. È troppo buon’ora per desinare.

Panfago. Chi non desina a buon’ora, desina a malora.

Forca. Dico: è troppo presto.

Panfago. S’è presto a te, è tardo a me: che vuoi misurar il mio appetito dal tuo ventre?

Forca. E tu vuoi che accomodiamo il nostro ventre al tuo appetito? Fa’ prima l’effetto, ché poi mangierai.

Panfago. No no; fatta la festa non è chi spazza la sala: chi ave avuto il suo intento, non si cura piú d’altro.

Forca. E tu, come hai mangiato e bevuto stai imbriaco, ti poni a dormire, e qui bisogna star in cervello; ché una parola che non dicessi a proposito, scompigliaresti in un punto quanto s’è consertato in un anno.

Panfago. Insegni a chi sa: attendi a quello che tocca a te e lascia il pensiero a me di quello che mi tocca.

Forca. Non ti mancherá da mangiare.

Panfago. Almeno una collazionetta leggiera.

Forca. Non abbiamo bombace né penne.

Panfago. Non bevendo, non farò cosa allegramente: duo becchieretti, non piú, starò allegro, fuor di paura, mi riporrá l’anima in corpo; come ho buon vino su lo stomaco, non può contro me il malanno. Porti l’oro su’ diti, le gioie al collo, chi vuol rallegrare il core; la mia tenace e il mio allegracore è il vino.

Forca. Mangierai e beverai assai bene.