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102 la carbonaria


Pirino. Un cibo di cosí cattiva digestione non può digerirlo.

Forca. Nascondiamoci e ascoltiamo, che da’ suoi maneggi ne caveremo principio di qualche garbuglio: ogni suo trattamento ne potrebbe giovare.

SCENA II.

Mangone ruffiano, Filace servo, Pirino, Forca.

Mangone. Filace, olá, non odi? cala qua giú presto.

Filace. Eccomi.

Mangone. Ho inteso che da Ragugia sia venuta una nave carica di schiavi: vo’ andare infino al molo per veder se vi sia cosa da vendere o barattare. Tu resta alla guardia de’ schiavi; ché levandogli gli occhi da sovra, chi nasconde, chi rubba, chi s’empie il ventre e chi machina di fuggire.

Filace. Andate sicuro, ché non mi smenticherò del mio ufficio.

Mangone. Se venisse quel di Calabria per la Gobba, digli che non ne chiedo meno di dugento ducati.

Filace. Voi dovreste pagar chi ve la togliesse di casa: ella è brutta di volto e bruttissima della persona, col mento fitto nel petto, con le reni inarcate, con le groppe uscite fuori, che par che d’ora in ora aspetti la soma.

Mangone. Non mi mancherá il mio prezzo: conosco l’umore. Quando il martello di amor lavora, batte e cava piú scudi d’ogni martello.

Filace. Che dirò a quel genovese della Macrina?

Mangone. Daglila per quel prezzo che vuole: mangia per diece e sta piú magra d’una gatta che mangia lucertole. Ogniun che la vede cosí asciutta stima che in casa mia non si mangi se non biscotto e vi si digiunino tutte le vigilie. Mi ha fatto spendere piú che non vale, per darle tartarughe boglite, suppe la mattina e vuova fresche la sera, quando va a dormire, per ingrassarla; e se la poni nuda incontro al lume, traspare come una lanterna, che se le ponno annoverar l’ossa dentro. Son