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Seconda. 103

gio il Polledro, perchè impari ad andare sotto la mano, nella gita che dipoi deve fare con l’uomo addosso.

Adattato che si sia il Polledro ad andare sotto la mano della guida, ed a obbedire alla chiamata di essa, lo Scozzone presi in mano i venti del cavezzone, e fatta la solita finta di montarlo, posto il ginocchio sopra l’arcione, in vece di levarlo per tornare sopra il montatore entri in Bardella in forma che il Polledro senta il peso del suo corpo nel posarsi senza aver sentito colpo o scossa alcuna; se il Polledro a questo sta fermo egli li faccia carezze, e ritorni sul montatore, fermi allora i venti del Cavezzone che aveva in mano alla Bardella, perchè non caschino, e rifatta vista di rimontarlo lo lasci in libertà alla guida, perchè possa fare la solita sua gita senza esso sopra.

Ma se nel sentire il peso piglia sospetto, e si discosta dal montatore, la guida lo tenga fermo ed egli lo accarezzi, procuri di levargli il sospetto, e dipoi salti con destrezza in terra, vada a farli carezze, e li dia un poco d’erba; poi risalito sopra il montatore li faccia carezze, e fingendo di volerlo rimontare, senza però farlo, la guida li faccia fare la solita gita.

Seguiti così fino a tanto che il Polledro non si è avvezzato a vedersi e sentirsi montare, e scendere lo Scozzone da dosso, senza dimostrarne apprensione alcuna come se fosse un Cavallo fatto, ed allora montato che vi sia, e stato prima un po-


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