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alla padrona, e stette lì quasi per impedirle di scappare. La signora leggeva, Fredda, diffidente: aveva già veduto, alla luce della prima lampada accesa dalla domestica, la busta umile: e su questa l’indirizzo scritto con quella caratteristica grafia popolaresca le cui lettere sembrano piuttosto segni e ghirigori.

— Accendete bene, — ordinò alla cameriera, e la bambina sollevò d’istinto, riabbassandolo subito, il viso stupito, quando anche le lampade aderenti al soffitto sparsero una luce vivissima sulle cose belle che riempivano la stanza: ma più fulgido fu il baleno dei suoi grandi occhi celesti, che parve accrescere l’improvvisa luminosità del luogo.

La signora leggeva.

«Signora, si ricorda di Augusta la Sua cameriera di dieci anni fa, quando ancora viveva il Suo buon Consorte? Andata via da Loro, trovai, sebbene non più molto giovane, da accasarmi: pur troppo però anche mio marito è morto, e anch’io forse sono sulla sua strada, perché domani devo entrare all’ospedale per subire una gravissima operazione. Perciò le mando i saluti con la mia unica bambina, e la prego di scusarmi se, in quel tempo, qualche volta ho mancato. La Sua devotissima serva Augusta.»

Finito di leggere, anche la signora rimase