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già passato tanto tempo, e quasi non mi ricordo più di lui; ma anche lui non si ricorda di me. Eppure sono certa di averlo veduto. Sono certa, — ripetè sollevando gli occhi pieni ancora di sogno, — gli ho preso anche le mani e mi sono asciugata le lagrime con le sue dita. Adesso non piango più. A che serve piangere? Eppoi Stefano è buono e mi ama più di lui. Se io gli facessi un torto sono certa che si vendicherebbe, sebbene sembri così calmo. Se sa che ho veduto l’altro, quel giorno di Pasqua, è capace di battermi. Invece l’altro è come un fantasma; sono certa che non gli importa più nulla di me: ed anche per me è come sia morto. Ma tu, dimmi, tu sapevi ch’era tornato?

— No, — disse Mikedda, — le giuro in coscienza mia che io non lo sapevo. Neppure il padre me ne ha mai parlato; nessuno l’ha veduto. Che egli abbia l’anello che rende invisibili?

Annarosa si rimise a ridere, tanto Mikedda parlava sul serio.

— Vedi, dunque! Tutto è stato un sogno. Non parliamone più. E tu va dove devi andare.